STRING QUARTET N. 1 “DANCE”
Quartetto Morandi
© Edizioni Curci, Milano E.C. 11508
Playing time: 20’24”
ANTEPRIME
Traccia | Durata | MP3 |
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1 - String Quartett N. 1 “Dance” | 20:24 | Play |
UN “CANTARE ALLA MADRIGALESCA” DEL XXI SECOLO
Approdato, dopo i suoi apprezzati esiti vocali e strumentali di un camerismo esemplarmente italiano, al genere quartettistico come sfida singolare del contrappuntismo europeo, Tiziano Bedetti ne ha riletto, in modo singolarissimo, le istanze plurisecolari. Figlio eletto della venezianità di cui G.F.Malipiero fu l’esponente massimo nel ‘900, il musicista adriese appena ventiquattrenne esce armato di tutto punto degli strumenti del far musica europeo postavanguardistico.
Ci consegna così non solo un frutto maturo di una poetica di stringente consequenzialità formale e culturale, ma anche un esito “ad quem” di un neomadrigalismo strumentale puro che, guardando al passato rigoroso della forma dialogica per eccellenza del suono mitteleuropeo, ne esplora le nuove vie di una comunicazione vivente per una nuova intersoggettività della musica occidentale. L’autore lavora con estrema accortezza su diversi piani espressivi coinvolgendo la continuità del discorso ritmico insistito e fortemente allusivo con una varietà delle idee melodiche ed armoniche cangiante e metamorfica tale da poter elidere la sensazione di saturazione dello stile che le soluzioni danzanti potevano suggerire. Lavoro di fondamentale “allure” giocosa, è volto a rappresentare icasticamente (specie nella seconda parte bipartita:“Moderately; Fast”) tutta la fenomenologia del ‘popular’ giovanile odierno facendo scintillare in “singolar tenzone” zone assolutamente ironiche o decontestualizzate dello pseudo avanguardismo contemporaneo.
Il compositore vuol farci comprendere in verità che il genere sommo della classicità era anche il più ricco e il più assolutamente aperto alle lingue nuove non tanto della musica cosiddetta colta quanto piuttosto di quella universalmente diffusa e testimoniata dall’universo massmediatico della società postindustriale. E’ un tessuto di ritmi e di movenze coreutiche, coreografiche, posturali, semplicemente corporee (danzanti essendo dicitura troppo legata ad un’accezione organizzata del movimento cenestetico) che, nel discorso ampio ed articolato di questo “Quartetto N.1”, diventa analisi sotto i nostri orecchi di un mondo formicolante di “calembours” variantistici, di “scambio delle parti” talora vocalistiche (gli strumenti ad arco sono potenzialmente voci nelle loro diverse tessiture) che si aggregano e si respingono in una “pièce” teatralissima che rende il lavoro di una forza comunicativa “ravissante”.
Avendo assimilato le tecniche fondamentali del quarttettismo malipieriano nella sua lunga stagione tirocinante (con Bruno Coltro), è in grado ora di verificarne appieno tutte le infinite situazioni che rendono la circolarità musicale neorinascimentale cinquecentesca del maestro veneziano moneta corrente per il nuovo millennio costituendo la possibilità di situare questo infinito intrattenimento madrigalistico come accoglimento di una mondanità della conversazione colta-popolare: un melodrammatismo diffuso ed imprevedibile. Come sostiene il compositore nelle sue “note introduttive” al suo String Quartet N.1 (“Dance”): « Il lavoro si articola infatti attraverso un rigoroso processo unificante di sviluppo tematico identificabile con i principi riconducibili alla forma sonata e alla variazione dove, nel contempo, riaffiorano suggestioni che vanno dal rhythm & blues al rock, dal techno alla disco music».
Vi si possono avvertire, è chiaro, echi della tradizione (Ravel, Debussy, Bartók, Janáček ecc.) specie nel primo movimento, ma sono elusi progredendo nel nucleo del lavoro che porta al centro delle intenzionalità del musicista che è in grado di costituire un’opera di straordinaria complessità formale anche dal punto di vista della semplice durata temporale. In definitiva, un saggio oggi esemplare di far conflagrare i mondi culturali del passato e del presente da parte di un compositore che, avendone vissuto a fondo tutta la contraddittorietà ma anche la necessità e la forza linguistica, le pone a confronto, le mescola in un “melting pot” stilistico in cui anziché elidersi ne ribadiscono ancor più la sostanza comunicativa. Classicismo e “popular music” portati fuori dai templi dell’alienazione odierna, diventano modi anche se allotrii di viva, pulsante, diretta comunicazione col mondo cui anche la voce umana, come al tempo di Monteverdi, offrirebbe ulteriore lustro.
ENZO FANTIN